La nostra grande storia

Quanto sono interrelate la storia della Terra e la storia dell'umanità? L'uomo è davvero la specie in cima alla piramide della vita? Con quale diritto ha conquistato questa posizione? L'utilizzo smisurato delle risorse dove ci porterà?
Queste solo alcune delle domande a cui il genetista Guido Barbujani e il geologo Mario Tozzi provano a dare una risposta, in un dialogo avvincente, fatto di punti di incontro e di scontro, di curiosi aneddoti e nuove scoperte scientifiche. Da due posizioni diverse ma complementari (quella dell'essere umano da un lato e quella del pianeta dall'altro) ricostruiranno La nostra grande storia, intrecciando la storia dell'uomo, iniziata milioni di anni fa in Africa quando i nostri lontani antenati sono scesi dagli alberi avventurandosi a passo ancora incerto nel grande mondo, con la storia della Terra, le sue trasformazioni e le vicende della geosfera e della biosfera - delle rocce e della materia vivente - che ha trasformato il globo in qualcosa di unico nel Sistema solare, se non nel cosmo intero.
Un racconto a due voci che in tono vivace e approccio scientifico mette in luce curiosità sui fenomeni naturali e sui comportamenti umani, sfata alcuni falsi miti, e lancia interessanti spunti di riflessione sulla nostra specie, sul concetto di evoluzione, razza, ecosistema, sulle straordinarie risorse e le pericolose minacce del nostro pianeta, i punti di forza e le debolezze dell'essere umano.

Episodi

1. Il tempo profondo

Una cosa è certa: la nostra storia comincia molto prima di noi. Se la prima comparsa di Homo sapiens risale a 200 mila anni fa, la Terra, in realtà, ha all'incirca 4,6 miliardi di anni. Ma come è possibile ricostruire una storia tanto lontana, e cosa aveva di così interessante quella grande stagione preumana che ci siamo persi? Guido Barbujani e Mario Tozzi ci accompagnano alla scoperta del tempo geologico, un tempo "profondo" che precorre la comparsa dell'uomo e di cui la scienza ha preso consapevolezza solo recentemente, grazie alla scoperta della radioattività che ha permesso la datazione delle rocce, aprendo tutto uno straordinario mondo fatto di strane primordiali forme di vita e di non vita, alcune sopravvissute, altre estinte. È come leggere un diario di pietra in cui sono rimasti innumerevoli indizi che non smettono di sorprenderci.

2. La prima migrazione


6 milioni di anni fa

Noi uomini siamo tutti figli di una catastrofe naturale: fu una grande eruzione vulcanica tra i 7 e i 6 milioni di anni fa a creare un'enorme spaccatura della crosta terrestre (la Rift Valley) che divise in due quella che prima era un'unica famiglia di scimmie. Il gruppo che rimase a Oriente, isolato nella savana, incominciò quel processo evolutivo che permise loro di scendere dagli alberi e di diventare sapiens, grazie a tre cambiamenti biologici decisivi: il passaggio al bipedismo (come ci raccontano le impronte degli Australopitechi di Laetoli), lo sviluppo della scatola cranica e della dimensione del cervello e la conseguente elaborazione del linguaggio.

Ma questo salto evolutivo non era poi così scontato: non sembra essere la preordinata esecuzione di un progetto, ma una risposta dell'organismo a condizioni ambientali diverse. Tanto più che i sapiens non erano ugualmente distribuiti sulla Terra, ma - e non per una naturale attrazione al pericolo - concentrati proprio laddove i disastri naturali erano più ricorrenti.

3. Diventare umani


2,5 milioni di anni fa

Quando compaiono i primi esseri umani e cosa li distingue dagli antenati non umani? C'è chi liquida la questione sostenendo che l'uomo sia l'unica specie dotata di intelligenza, ma tale teoria risulta facilmente confutabile se si studiano biologicamente le altre specie non umane (si pensi alla capacità comunicativa dei capodogli e alla memoria a breve termine degli scimpanzé, le doti artistiche dello scimpanzé Congo, o alla sensibilità dimostrata da alcuni elefanti). Sebbene ci siamo (auto)posizionati al vertice della piramide della vita, sovvertendo gli ecosistemi e le regole della storia naturale, autocelebrando le nostre presunte qualità superiori, ad uno sguardo più attento si scopre che la verità è ben diversa: molte caratteristiche che tendiamo a considerare tipicamente umane sono presenti in altri animali, e a volte più sviluppate. E allora? Cos'è che ci rende umani? Nel percorso evolutivo la specie umana raggiunge così un'ulteriore tappa fondamentale: se è vero che noi umani non siamo gli unici a saper fare parecchie cose, siamo però gli unici a saperle fare tutte insieme.

4. Tante specie umane


1,8 milioni - 100.000 anni fa

Il percorso evolutivo di Homo non è stato lineare, ci sono state tante forme umane che si sono succedute nel corso del tempo: molte sapevano controllare il fuoco, tutte erano brave a cacciare e a migrare, alcune hanno sviluppato culture sofisticate, ma una sola, la nostra, è sopravvissuta; le altre si sono estinte. Il clima, il caso e altri condizionamenti ambientali hanno influenzano loro storia, creando le opportunità per espandersi in nuovi ambienti, ma anche rendendo ostili questi ambienti alla vita umana. La storia di Homo comincia in Africa, e in Eurasia evidentemente è partita prima rispetto a quelle delle Americhe e dell'Oceania come testimoniano i resti fossili umani di Atapuerca (una specie biologicamente socialmente evoluta).

La scoperta del fuoco e le sue successive applicazioni è stata verosimilmente la spinta propulsiva per questo scatto evolutivo. Ma quale relazione esiste tra la nostra specie, sapiens, e le altre forme umane ritrovate in Europa (Neandertal), in Asia (Denisova), e forse anche altrove, in Asia e in Africa? Lo studio dei Neandertal, protagonisti dell'era glaciale in Europa, oggetti di ripetute indagini genetiche oltre che antropologiche ha messo in chiaro che i nostri rapporti con loro sono stati più stretti di quanto non si pensasse, anche solo fino a dieci anni fa.

5. Homo sapiens in Africa e fuori dall’Africa


190.000 - 70.000 anni fa

In questo episodio Mario Tozzi e Guido Barbujani provano a ripercorrere storie evolutive di specie umane diverse dalla nostra e a indagare su relazioni ancora non perfettamente chiare con lontani parenti, come l'Oreopiteco, un ominide che popolava la Toscana e la Sardegna del Miocene, e come l'Homo naledi, i cui resti sono stati ritrovati in Sudafrica nel 2013 e hanno portato alla definizione di una specie fino ad allora sconosciuta, simile alla nostra per certi versi, e molto diversa per altri. Tornando alla storia della nostra penisola, in particolare nel sud Italia, si trovano resti di Homo heidelbergensis, una specie documentata tanto in Europa quanto in Asia e in Africa: nomadi, cacciatori e raccoglitori, socialmente organizzati.

È probabilmente da loro che sono discese le popolazioni di uomo di Neandertal (alcuni dei cui di cui i più antichi reperti sono stati ritrovati ad Altamura), che sono state per 300mila anni la forma umana tipica dell'Europa, fino ad estinguersi, in sospetta corrispondenza all'espansione dall'Africa di un'altra specie, la nostra. Ma, come spesso è capitato, a questi grandi cambiamenti evolutivi hanno contribuito anche profondi cambiamenti nell'ambiente (il cosiddetto evento di Laschamp). Ma Homo heidelbergensis, probabilmente, ha lasciato discendenti; si tratta di noi sapiens, l'unica specie umana fra le tante comparse nel corso dei milioni di anni che ce l'ha fatta ed è sopravvissuta.

6. L'Europa e l’Asia


70.000 - 14.000 anni fa

Non c'è dubbio: i sapiens arrivarono in Europa dall'Africa, lungo il corso del Nilo, attraversando il Sahara che allora non era il posto inospitale che è oggi. Con ogni probabilità, nel corso del viaggio rischiarono anche di estinguersi, come testimonia il patrimonio genetico molto ristretto che oggi interpretiamo come conseguenza di una crisi demografica. Sebbene le condizioni di vita non fossero particolarmente facili, i sapiens assunsero presto l'atteggiamento di super-predatori, pronti a saccheggiare le risorse naturali con l'unico obiettivo della loro sopravvivenza. Ma come riuscirono a primeggiare sulle altre specie? Fu grazie alle loro capacità cognitive?

Studi antropologici confermano in quel periodo la nascita del pensiero astratto, della capacità immaginativa e dello sciamanesimo, come testimoniano i disegni delle grotte di Chauvet, capolavori che non hanno nulla da invidiare a Fidia, Rodin o Canova. Ma nello stesso momento un repentino cambiamento del clima e dell'ecosistema del Pleistocene, oltre alla competizione con i sapiens, porta all'estinzione dei Neandertal: alla fine della nostra espansione dall'Africa, di tante forme umane sulla faccia della terra ne rimane una sola, la nostra.

7. Verso le Americhe


20.000 - 5.000 anni fa

Il primo viaggio in America, noi sapiens, l'abbiamo fatto a piedi. Molto prima dei viaggi di Colombo: e non siamo arrivati da est, dall'Europa, ma da ovest, dalla Siberia. Provenendo dalle zone calde dell'Africa, i nostri antenati si sono adattati con stupefacente rapidità alle temperature rigide del nord, e poi, passati nel nord America, hanno iniziato una rapida discesa verso sud, fin agli estremi confini della Patagonia. Nella loro migrazione i sapiens lasciarono numerose tracce delle prime forme di arte preistorica (si pensi alla Cueva de las manos, in Patagonia). Per arrivare alle formidabili espressioni artistiche delle culture mesoamericane, gli Olmechi e poi i Toltechi, e i Maya e gli Aztechi, bisognerà aspettare fino al XV secolo avanti Cristo, cioè all'epoca in cui nel Mediterraneo fiorisce la civilizzazione micenea.

Ma intanto queste prime rappresentazioni sono la prova che, anche queste popolazioni, che vivevano in condizioni difficili, in mezzo a una natura ostile, questi discendenti di gente che nel corso delle generazioni ha coperto 12mila chilometri, dal centro dell'Asia alla fine del mondo, sentivano il desiderio di lasciare un segno di sé, qualcosa che andasse al di là della semplice sopravvivenza, qualcosa di duraturo e di bello. Nel frattempo, sapiens riesce a occupare anche l'ultimo lembo di terra emersa su cui non si era ancora riusciti a mettere piede: l'Oceania, anche se qui, a dire il vero, la diffusione della nostra specie ha richiesto parecchio tempo, perché le isole oceaniche si possono raggiungere solo disponendo di raffinate competenze nautiche, e sapendosi orientare. Un'altra sfida vinta dall'evoluzione umana.

8. L’uomo agricoltore


10.000 - 5.000 anni fa

Forse il passaggio più importante in tutta la storia umana è quello che ha segnato il passaggio dalla caccia e dalla raccolta all'agricoltura e all'allevamento. L'umanità inizia a produrre il cibo di cui ha bisogno, e ad accumularlo, anziché cercare di procurarselo giorno per giorno. Ma per coltivare la terra non si può essere nomadi: si formano i primi villaggi, le prime città. Una rivoluzione, la rivoluzione neolitica. L'agricoltura e la domesticazione degli animali nascono solo in certi siti con certe caratteristiche, e non tutte le specie vege-tali si prestano ad essere coltivate, così come pure non tutti gli animali si possono addomesticare. Ma ben presto questa rivoluzione si diffonde ovunque: 10mila anni fa nella mezzaluna fertile, qualche millennio più tardi in Cina, poi negli altipiani della Nuova Guinea e nelle Americhe, dove le prime attività agricole sono documentate a partire da 5 mila anni fa.

Le conseguenze sono impressionanti: la popolazione cresce, nascono le grandi città stato e civiltà complesse in cui si formano diverse classi sociali, ma nello stesso tempo aumentano le malattie e la diffusione dei micro parassiti. Inoltre, i primi agricoltori neolitici introducono per primi i geni della pelle chiara nella popolazione europea, in cui fino a 6000 anni fa le pelli erano scure o scurissime. Ma come è avvenuta la diffusione delle pratiche di coltivazione e di allevamento? E con quali implicazioni? È una questione di DNA, di ecosistema, di regimi alimentari, di sostenibilità e di prospettive per il nostro futuro.

9. Arriva l'alfabeto, comincia la storia

Il passaggio dalla preistoria alla storia, si sa, è segnato dall'invenzione della scrittura a cui varie culture, intorno al Mediterraneo, in Cina e nelle Americhe, sono arrivate indipendentemente e in momenti diversi. Oggi nel mondo si parlano forse 6000 lingue, e la storia del loro sviluppo si intreccia strettamente con quella delle migrazioni e dei contatti fra le popolazioni del globo. A circa 6000 anni fa risale la civiltà megalitica maltese di cui abbiamo resti di edifici, ma di cui non conosciamo la lingua: possiamo ipotizzare che il loro parlato afferisse alle cosiddette lingue indoeuropee che si diffusero, come sostengono alcuni, intorno a 5.000 anni fa dalle steppe a nord del mar Nero, o più probabilmente, con la migrazione neolitica che avrebbe portato in Europa i geni dei primi agricoltori, le loro tecnologie di produzione del cibo, e anche le loro lingue.

Ma le migrazioni portano con sé anche i microorganismi che abitano nel nostro corpo e che, come abbiamo constatato in tempi recentissimi, hanno un'elevata ricaduta sulla vita e sulla storia dell'uomo. Nella storia molto più recente questo è testimoniato dalla sorte toccata all'impero di Montezuma: il vaiolo fu una vera bomba biologica che segnò l'inizio della fine dell'impero Azteco, dei Maya e degli Incas. Intanto, tornando alla storia remota, con la fine dell'età della pietra l'uomo impara a fabbricare attrezzi con i metalli e fioriscono civiltà come quella etrusca e poi quella romana, in merito alle quali gli ultimi studi sia di linguistica, sia di genetica contribuiscono a sfatare false credenze e a dare concretezza scientifica ad accreditate ipotesi.

10. Le migrazioni continuano

Da quando abbiamo imparato a muoverci su due gambe e non su quattro zampe non siamo mai stati fermi. Le popolazioni umane migrano da sempre: perché vogliono o perché devono, per speranza o per disperazione. Spesso alla base di tante disperazioni ci sono i cambiamenti ambientali e climatici, che a loro volta spesso sono frutto di spaventose disuguaglianze fra i popoli del nord e del sud del mondo: nell'accesso alle risorse naturali, tecnologiche e sociali. L'utilizzo smodato di materie prime e la distruzione di ambienti e risorse naturali costituiscono un reale pericolo per la sopravvivenza di tutte le specie viventi, non solo la nostra. La migrazione non è mai indolore (ne sono un esempio la storia degli ebrei e dei rom). E se da un lato può portare depauperamento delle risorse ambientali dall'altro può moltiplicare la ricchezza culturale delle comunità umane.

Tuttavia la ricchezza economico-culturale non va sempre di pari passo con il rispetto degli equilibri degli ecosistemi. La produzione incessante, una tecnologia spesso impattante e inutile rischia di portare con sé la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta: e potrebbe essere anche la nostra. Per questo la lotta al cambiamento climatico può essere efficace solo se cominciamo a considerare le strette relazioni che ci legano con gli altri organismi del nostro stesso ecosistema, e che legano ogni popolazione umana in un'unica grande collettività, con tante diverse culture, sensibilità e intelligenze, e nella quale non esistono razze, come dimostrato storicamente e biologicamente.

Il nostro racconto non può che fermarsi su un'umanità in bilico: abbiamo fatto enormi passi avanti nella scienza, nella tecnologia e nella comprensione del mondo che ci circonda, ma con tutto questo non siamo riusciti a impedire che un uso sfrenato delle risorse mettesse in moto meccanismi planetari che non sappiamo se saremo in grado di controllare. Come andrà a finire? Possiamo ancora fare qualcosa?