Essere Enea

Ara Pacis, Roma

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Sono nato per un dispetto. Colpa di mia madre, Afrodite. L’amore è la sua provincia, e lei è padrona di far innamorare chiunque a suo capriccio, dio o mortale, uomo o donna. Anche Zeus aveva dovuto subire il suo potere, ardendo di passione per donne mortali. Finché, un giorno, il padre degli dèi decise di vendicarsi, infondendo a sua volta in Afrodite l’amore per un mortale. Punizione davvero ironica, e strana, perché raramente le dee si innamorano dei mortali, e quando questo accade non è certo una fortuna né per loro e né per i loro amati. È da qui che inizia la mia storia. Nacqui e fui allevato dalle Oreadi, le ninfe degli alberi, con una profezia impressa nel mio nome, destinato a una gloria immensa tanto quanto a un immenso dolore. Ero destinato a diventare re. Ma di quale popolo, ora che la mia città, Troia, era stata distrutta dai Greci, per colpa di quel pazzo di mio cugino Paride? Gli dèi parlano sempre in modo oscuro ed enigmatico e solo i sapienti li sanno comprendere. Io, cresciuto in montagna fra le ninfe delle querce, che il mare non lo conoscevo, mi vidi lanciato all’avventura per mare, tra rotte vane e talora assurde. E in quello stesso mare che fu, al contempo, la salvezza della mia gente, intrecciammo, senza saperlo le nostre rotte con quelle di Ulisse: Scilla e Cariddi, la terra dei Feaci, l’isola di Circe, lo scoglio delle Sirene, finché sbarcammo nel Lazio, alla foce del Tevere.

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