Essere Romolo

Ara Pacis, Roma

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Se fossi stato il nipote di Enea, figlio di sua figlia Ilia, la mia vita sarebbe stata forse più tranquilla. Avrei ereditato il regno di mio nonno, sarei stato il sovrano di Lavinio, signore di un popolo misto fra Latini e Troiani che lui, il grande eroe venuto dall’altra parte del mare, aveva unificato. E forse non avrei neppure fondato una nuova città, mi sarei accontentato di quella che mi era toccata in eredità. La natura però, che dicono essere la vera e buona madre di tutti, mi destinò ad altro e mi accordò la sua protezione come fa con gli eroi fondatori. E iniziò la mia storia: un fico, una lupa, dei pastori e noi, io e mio fratello Remo, due ragazzi arditi e violenti. Alba non ci bastava, volevamo una città tutta per noi. Scegliemmo una terra vicino al fiume, ricca di colli, e in una di queste piccole valli fondammo Roma. Nuove leggi e soprattutto nuovi costumi, per noi più vincolanti delle leggi scritte. Finché, misteriosamente, sparii in un giorno di tempesta mentre il mio popolo, iniziava a invocarmi: io, Romolo, figlio di Marte, divenuto un dio.

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