L’Italia ha un problema: l’ emigrazione

Un’evasione di massa in cui troppi se ne vanno e in pochi arrivano Nel 2024 hanno ufficialmente lasciato l’Italia 191 mila persone, di cui 156 mila cittadini italiani, il 36,5% in più rispetto all’anno precedente. Non si registrava un numero di espatriati cosi alto da fine anni ’60 del secolo scorso. Inoltre, ci dicono gli esperti che queste cifre sono sottostimate a causa dei sistemi di registrazione anagrafica mal funzionanti, infatti i numeri reali si attesterebbero intorno al doppio o al triplo dei numeri ufficiali. Se questo fosse vero, significherebbe che lo 0.5-0.8% dell’intera popolazione nazionale è andata via in un solo anno. Questa non è fisiologica mobilità internazionale come in molti ci fanno credere. In una situazione di una mobilità equilibrata e di una relativa attrattività italiana, dovremmo vedere tanti studenti inglesi che frequentano un dottorato nell’Università italiane, o giovani ingegneri tedeschi che lavorano alle opere infrastrutturali italiane, o medici e infermieri olandesi o francesi presenti nei nostri ospedali. Invece no. Noi andiamo lì, ci inseriamo nei sistemi lavorativi esteri, strutturati e propensi ad accogliere stranieri, e loro non vengono da noi, se non in vacanza. È un processo a senso unico. La cosa interessante è che all’ interno del fenomeno emigratorio contemporaneo si osserva un nuovo trend: vanno via sempre più persone con una formazione specifica. Le ultime statistiche ci dicono che tra i giovani che vanno via, i laureati sono ormai la metà. Quindici anni fa erano un quarto. Quindi, in Italia si è creato un sistema perverso dove più studi e più vieni spinto fuori. Non sembra una grande strategia per un Paese che vuole sopravvivere in un contesto internazionale dove si osserva una corsa alle tecnologie e alle alte specializzazioni.