Le ferite di Caporetto

Archivio di Stato, Genova

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Di chi fu la colpa di quella rotta che Prezzolini ha provocatoriamente riletto come una vittoria? Sarà vero che “ci si fa grandi resistendo ad una sventura ed espiando le proprie colpe”? Quali ferite portiamo ancora? Quale fu l’origine del nostro riscatto?

Caporetto fu una pagina cruciale della storia italiana, che ci interroga ancora sul nostro essere nazione, sul carattere del popolo italiano, sul rapporto tra classe dirigente e leadership, iniziativa individuale e responsabilità, pianificazione strategica ed eroismo.

Alessandro Barbero ha ripercorso la battaglia da una prospettiva nuova, attraverso occhi e voci diversi, dal generale in capo all’ultimo dei soldati in trincea, incrociando fonti italiane e straniere e attingendo dalla storiografia militare e dagli atti della commissione parlamentare d’inchiesta, per entrare nel vivo di quell’esperienza estremamente complessa che oscilla continuamente tra “il carnevale e l’apocalisse”.

Innumerevoli memorialisti e scrittori, da Gadda a Soffici, da Hemingway a Comisso, hanno descritto quei giorni di tragedia e di follia: i saccheggi e le fucilazioni, i magazzini incendiati, i carri e i cannoni abbandonati, i cadaveri e le carogne, la fuga dei civili dal Friuli invaso, le scene dantesche dei ponti sul Tagliamento fatti saltare con tutti quelli che li affollavano.

Ma quella non fu un’esperienza isolata nelle trincee alpine. Caporetto ebbe luogo in un contesto globale di fermenti, incontri, slanci ideali e tramonti, in una duttile geografia di idee, scoperte scientifiche e correnti di pensiero, dove si intrecciarono le vite di nomi illustri, come Coco Chanel, Paul Morand, Pablo Picasso, Jean Cocteau, Max Jacob, Igor Stravinskij; Luigi Russolo, Antonio Sant’Elia, Filippo Tommaso Marinetti; Carlo Emilio Gadda, Emilio Lussu, Giuseppe Ungaretti, Benito Mussolini; John Reed, Majakovskij, Antonio Gramsci, Rosa Luxeburg; Charlie Chaplin e Buster Keaton.

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